Disturbi alimentari: tra vecchie epidemie e nuove malattie

Nell’Europa occidentale tra il ‘200 e il ‘500 si diffuse il digiuno come pratica che si proponeva di conseguire superiori valori religiosi, svalutando la corporeità attraverso rinunce alimentari. Il fenomeno figura in molte storie di santi e, soprattutto, di sante, come Caterina da Siena (1347-1380). Una delle storie che merita di essere ricordata è quello di santa Margherita d’ Ungheria (1242-1270), figlia del re Béla IV che fu destinata dalla famiglia alla vita religiosa. Negli anni la giovane suora praticava varie mortificazioni del corpo, tra cui il digiuno e quando suo padre giudicò conveniente per la corona che lei sposasse Ottocaro II di Boemia, Margherita non solo respinse le pressioni del padre ma intensificò le pratiche di digiuno. Ad un certo punto smise di lavarsi ed interruppe ogni cura del corpo per cancellare qualsiasi segno di bellezza carnale. Morì all’età di ventotto anni, lucida fino all’ultimo. Anche se nella storia vengono raccontati casi simili alle anoressie dei nostri giorni ma è solo in epoche recenti che ci si è interessati alla psicopatologia del rapporto uomo- cibo.

Il cibo è più di qualcosa da mangiare. È nutrimento. Ma è anche piacere. È legame: materno, familiare, sociale. È appartenenza, identità, memoria. Gli si attribuiscono, a torto e a ragione, effetti terapeutici e tossici, cosmetici e deturpanti. Almeno per alcuni, può diventare una malattia. Il nutrirsi e il lasciarsi nutrire è fin dalla nascita espressione di malesseri emotivi e conflitti relazionali.

 

L’insoddisfazione per il corpo e il suo peso, e la paura d’ingrassare cominciano presto, verso gli otto anni. Già in queste età precoci, le ragazzine segnalano problemi con l’alimentazione e il peso più spesso rispetto ai maschi. In adolescenza, sono tante le ragazze che, suggestionate dalle mode del tempo, si giudicano grasse indipendentemente dal loro peso reale e che affidano al tentativo di dimagrire la soluzione di conflitti, insoddisfazioni, problemi di varia natura. Sono persone che non correrebbero gravi rischi di sovrappeso ma che, sulla base di una cattiva accettazione di sé, della propria immagine fisica e di un corpo sessualmente maturo, attraverso il perpetuarsi delle diete, creano un rapporto ossessivo con il peso e con l’atto di mangiare, sviluppano disturbi del comportamento alimentare più o meno conclamati.

 

L’immagine mentale del corpo si costruisce nel corso della vita, a partire dai primi giorni. Il quadro relazionale dei rapporti iniziali con le figure di accudimento ne fonda la base.  In seguito, gli incontri, il gruppo dei coetanei, le prime esperienze sentimentali e sessuali, la cultura nella quale si cresce, con i suoi modelli ideali e i suoi stereotipi, concorreranno via via a modulare l’immagine mentale del corpo e la soddisfazione-insoddisfazione per il proprio aspetto.

 

La psicopatologia contemporanea considera i problemi con l’immagine del proprio corpo come un sintomo nucleare, indispensabile alla diagnosi di anoressia nervosa, di bulimia nervosa e disturbo dell’alimentazione incontrollata.

 

Nelle società contemporanee tutti sono esposti all’offerta eccessiva di cibo e nello stesso tempo, alla martellante presentazione di immagini di corpi magri, più o meno senza difetti.  Molti sono insoddisfatti del loro aspetto fisico e spostano sul peso e sull’immagine incertezze e conflitti di tutt’altra origine.

 

Ma solo alcuni si ammalano di gravi disturbi dell’alimentazione. Perché proprio loro cadono nella  schiavitù dei sintomi?

 

Per i disturbi dell’alimentazione è utile distinguere tra fattori predisponenti, fattori precipitanti e fattori che tendono a perpetuare la sindrome. 

Fattori predisponenti

I disturbi del comportamento alimentare sono più frequenti per il genere femminile ed esordiscono ed esordiscono maggiormente nell’età adolescenziale e nella prima giovinezza. 

Fra le caratteristiche psicologiche prevalgono tratti ossessivi di personalità, perfezionismo mai soddisfatto, difficoltà nel processo di individuazione- separazioni dalle figure genitoriali, rifiuto del corpo adulto, bisogno della persona di rispondere alle attese sociali e di compiere al meglio le prestazioni richieste e dipendenza dal consenso e dall’ammirazione degli altri.

Fattori precipitanti

Nella maggior parte dei casi si tratta di perdite, separazioni, alterazioni dell’omeostasi familiare. Un evento spesso in gioco è l’esperienza dei cambiamenti puberali vissuta come un trauma e una minaccia al controllo di sé e della propria vita. Nucleo del vissuto è la paura di perdere il controllo e la stima di sé. La reazione è una concentrazione sul corpo, sul peso e sulla dieta come campo privilegiato nel quale recuperare un sentimento di dominio e di valore. La perdita di peso e il reprimere lo stimolo della fame sono sentiti come un’impresa straordinaria e come un segno fondamentale di autodisciplina. Al contrario, un aumento anche minimo di peso è assunto come il segnale di perdita di controllo e prestigio.

Fattori perpetuanti

Tra i fattori che tendono a perpetuare la malattia troviamo: 1) i guadagni secondari legati alla malattia come attenzioni speciali da parte dei familiari, evitamento di situazioni affettive e sociali angosciose con una sorta di fissazione a un’eterna infanzia; 2) gli effetti del digiuno e della malnutrizione aumentano la concentrazione sul cibo, il corpo e il mangiare, aggravano le distorsioni dell’immagine corporea, questo porta allo scatenarsi di crisi bulimiche che e di conseguenza alla messa in atto di contromisure difensive come il vomito autoindotto, uso di lassativi, ulteriori restrizioni alla dieta ed esercizio fisico eccessivo.

 

Bibliografia 

Dalla Ragione L., & Giombini L. (2014) (a cura di). Solitudini Imperfette: Le buone pratiche nei disturbi del comportamento alimentare. La Tipografia Bevagna snc.

Cuzzolaro M., (2014). Anoressie e Bulimie. Il Mulino, Bologna.